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Look da ufficio: come eravamo e come siamo diventate
Per fortuna gli anni Ottanta sono finiti. Non se ne poteva più di passare il tempo a cucire spalline. Le donne sembravano tutte giocatrici di rugby, con le spalline attaccate anche al pigiama!
Quelli erano gli anni dello yuppismo, dei film americani con le donne in carriera. La celluloide mostrava donne vestite come uomini. Giacca e pantaloni, qualcuna arrivava anche ad usare la cravatta. Come a dire se vuoi avere successo in questo ambito ti devi omologare. Vuoi essere presa in considerazione e allora adeguati al contesto. Per essere prese sul serio le donne dovevano maschilizzarsi.
La donna manager non faceva concessioni alla femminilità. Oggi non è più così. Con il passare degli anni la presenza delle donne nel mondo del lavoro si è consolidata e ci si è potute affrancare dal guardaroba maschile. Si è capito che non è l’abito che fa il monaco. Anzi, se il monaco può scegliere come farsi l’abito per sentirsi più a suo agio, ne guadagnano tutti, anche quelli che lavorano con il monaco che era stato privato di una parte importante della sua personalità.
Non è una gran scoperta, infatti, che il modo in cui ci vestiamo racconta molto di noi. Ci sono giorni in cui le donne non hanno nè il tempo nè la voglia di vestirsi e allora si limitano a coprirsi. Chiaro sintomo di stanchezza e apatia.
E’ importante ricordare, però, che anche sull’orlo di un esaurimento fisico va rispettata un minimo di decenza. Le informi e incolori tute da ginnastica, terribile indizio dell’abbrutimento casalingo vanno nascoste nel ripostiglio.
Mia madre diceva che vestirsi bene e truccarsi un po’ era un dovere perché la mattina non si può uscir di casa e andare in giro a spaventare i bambini. Per scegliere cosa indossare bisogna passare in rassegna il guardaroba e non sempre si riesce a propendere per il vestito al quale si era pensato perchè spesso gli armadi delle madri sono saccheggiati nottetempo dalle figlie e quelli delle sorelle maggiori dalle sorelle minori (mia sorella sostiene che una mattina non trovò le scarpe).
Ho chiesto a diverse donne che ho incontrato e intervistato a cosa non avrebbero rinunciato nella loro tenuta da lavoro, le risposte sono state le più disparate:
- dalle scarpe con i tacchi alti a quelle con i tacchi bassi
- alla borsa capiente
- ad almeno un gioiello
- ai cardigan comodi e rassicuranti
- alle t-shirt colorate
- alle calze coprenti, alle gonne
- al giubbotto di pelle anche d’estate
- ai foulard e le sciarpe sempre e comunque con la pioggia e con il sole.
Poiché le donne sono le principali fashion victims, ci si aspetterebbe di trovare loro ai vertici dell’industria della moda. Invece, caso strano, non è così. No, la moda è come la ristorazione, è qualcosa di cui le donne si occupano quotidianamente ma, per qualche oscura ragione, sono ritenute capaci di gestirle solo a livello domestico e dilettantistico. Due pasti al giorno, nella quasi totalità delle famiglie del nostro pianeta, vengono preparati dalle donne ma i grandi chef sono uomini. Le donne, tutt’al più, gestiscono trattorie con cucina casereccia.
Le donne dedicano molto tempo alla moda e al vestiario, imparando la raffinata arte di coniugare budget e buon gusto ma ai vertici delle maison ci sono stilisti uomini. Sono questi ultimi che decidono come si devono vestire le donne, immaginando modelli che, a volte, risultano molto distanti dalla realtà. Chissà se l’idea dei pantaloni a vita bassa fino alle caviglie e le scarpe a punta fino alla necrosi del piede siano idee germogliate in cervelli maschili o femminili.
Qualcosa, però, lentamente sta cambiando, pian pianino delle brave e talentuose ragazze si stanno battendo sul campo. Senza riserva di colpi, a suon di batoste. Nel frattempo, le donne che lavorano sono diventate più sicure e distese, non hanno bisogno di mimetizzarsi vestendosi da maschi, e possono scegliere di abbigliarsi come più si confà al loro modo di essere.
Liberate dalla necessità di camuffare le loro doti sotto abiti maschili, si concedono il lusso di vestire in modo da esprimere loro stesse. E questo è tanto più vero quanto più si invecchia.
A quarant’anni si è raggiunta una discreta dose di sicurezza sulle proprie capacità, tale da permettere l’affermazione di un proprio stile. Tra i venti e i trenta ci si guarda intorno alla ricerca di un modello che appaia vincente. Tra i trenta e i quaranta si imita e ripropongono i modelli che ci si è scelto. Arrivate ai quaranta, per lo più, si è trovata la propria strada. So chi sono e quanto valgo. Non si hanno più timori a presentarsi con una propria cifra stilistica.
Molto dipende dal carattere. Ma anche in assenza di cuor di leoni si constata un superamento dell’incertezza.
A volte mi stupisco di come, inconsciamente, molte donne tendano ad abbigliarsi come le proprie madri o le proprie zie, come quelle donne, cioè, che hanno rappresentato i primi modelli femminili presenti nella vita.
In alcuni casi le zie sono da scartare perché abbigliate malissimo e decisamente impermeabili al buon gusto, mentre il tratto di continuità con la genitrice appare evidente. Si può essere dei cloni consapevoli o inconsapevoli. Con taglia diversa magari ma, innegabilmente, dei cloni materni.
E della madre si può tendere a perpetrare alcune scelte in tema di abbigliamento che risultano inspiegabilmente irrinunciabili:
- la passione per le scarpe bicolori e i sandali
- l’attrazione per le borse
- la profusione di perle
- una collezione di leggeri vestiti estivi
- un intero cassetto di scialli, stole, foulard e sciarpe
- il rossetto decisamente rosso
Tutti sassolini che le madri lasciano lungo il cammino per non farci smarrire la strada anche quando non ci saranno più.
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