Sono state riaperte le indagini sull’omicidio di Simonetta Cesaroni. La ragazza è stata uccisa il 7 agosto del 1990 in un ufficio in un palazzo di via Carlo Poma, nei pressi di piazza Mazzini a Roma.
Secondo quanto affermano le agenzie di stampa, oggi sono state ufficialmente affidate le deleghe investigative per il caso. I pm hanno riaperto il fascicolo in seguito a un esposto presentato nelle scorse settimane dai familiari di Simonetta. L’ipotesi di reato è quella di omicidio volontario a carico di ignoti. Lo riporta FanPage.it
Stando a quanto scrivono Giacomo Galanti e Andrea Ossino sul quotidiano La Repubblica, il caso sarebbe stato riaperto grazie ad alcune informazioni rese dall’ex funzionario della squadra mobile Antonio Del Greco, che all’epoca ha diretto le indagini.
L’ex poliziotto è stato ascoltato per cinque ore dalla pm Ilaria Calò. Secondo quanto ha riportato il Foglio nei giorni scorsi in merito alla riapertura delle indagini, sarebbe finito nel mirino degli inquirenti “un personaggio che era già comparso fin dalle prime ore dopo il delitto e che fu interrogato più volte sia in istruttoria sia in dibattimento”. Il sospettato “avrebbe mentito fin dall’inizio negando di aver mai conosciuto Simonetta e fornendo agli investigatori una ricostruzione dei suoi spostamenti completamente inesatta”.
Secondo i cronisti il caso è stato riaperto per un alibi che non è più a prova di bomba. Sarebbe quello dell’avvocato Francesco Caracciolo Di Sarno. All’epoca presidente regionale dell’Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù, in pratica l’uomo per cui lavorava Simonetta Cesaroni.
In un appunto redatto da un commissario della polizia e risalente al 1992 si legge che l’uomo abitava nell’edificio accanto al luogo del delitto. “Sarebbe noto fra gli amici per la dubbia moralità e le reiterate molestie arrecate a giovani ragazze, episodi che seppure a conoscenza di molti non sarebbero mai stati denunciati grazie anche alle ‘amicizie influenti’ dallo stesso vantate”. A riportarlo è Fanpage.it
Secondo questo commissario la portiera del palazzo di Caracciolo avrebbe riportato questo. Cioè che il giorno del delitto l’avvocato “è rientrato affannato e con un pacco mal avvolto presso la propria abitazione”, ed è uscito con una “grossa borsa”. Questa borsa fu collegata alla partenza della figlia. L’avrebbe accompagnato in aeroporto. In pratica questa circostanza è diventata l’alibi di Caracciolo. Ma adesso questa giustificazione potrebbe non essere più così granitica.