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Referendum trivelle, 7 cose da sapere per un voto consapevole
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Domenica 17 aprile saremo chiamati alle urne per esprimere il nostro voto sulle questione delle trivelle e delle trivellazioni in mare, il primo referendum ottenuto dalle Regioni e richiesto a gran voce dagli iscritti al Partito Democratico, con l’intenzione di opporsi alla politica energetica del premier Matteo Renzi. Un tema caldo di cui si discute molto poco in televisione, mentre sui social network, ad opera di diverse associazioni ambientaliste, sono già partite diverse campagne a favore del “sì” per fermare le trivellazioni. Ma siamo sicuri di sapere esattamente che cosa stiamo fermando? Dunque ecco 7 cose che dovete assolutamente sapere per un voto consapevole.
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Cosa stiamo votando
In breve, gli elettori decideranno se i permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia dalla costa, debbano durare fino all’effettivo esaurimento del giacimento oppure fino al termine della concessione. Con questo referendum si chiede agli italiani di cancellare l’articolo del codice dell’ambiente che permettere di trivellare in mare sino a quando il giacimento è in vita. Il provvedimento abrogativo non riguarda quindi né le perforazioni sulla terraferma né quelle a una distanza superiore dalla costa.
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Cosa cambia se vince il Sì
Un’eventuale vittoria del “sì” bloccherebbe le concessioni per estrarre petrolio entro le 12 miglia dalla costa; di conseguenza se si dovesse raggiungere il quorum, le piattaforme attualmente in mare verranno smantellate una volta scaduta la concessione. Il referendum riguarda nello specifico 21 concessioni, di cui 7 sono in Sicilia; 5 in Calabria; 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia Romagna, una in Veneto e nelle Marche.
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Cosa cambia se vince il No
Trattandosi di un referendum abrogativo, un’eventuale bocciatura lascerebbe la situazione inalterata, quindi al termine della scadenza delle concessioni le compagnie petrolifere potranno presentare una richiesta per il prolungamento dell’attività in mare.
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Quando cesserebbero le trivellazioni?
Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, al momento nei mari italiani ci sono ben 135 piattaforme e teste di pozzo: di queste 92 sono entro le 12 miglia, quindi quelle a rischio con il referendum sono la maggior parte. Il problema di fondo è che gran parte della gente pensa di votare per l’immediato smantellamento delle piattaforme, ma in realtà rimarranno operative sino alla fine della concessione, quindi per un periodo di tempo abbastanza lungo, se consideriamo che mediamente questi permessi hanno una durata iniziale di trent’anni, prorogabile per altri dieci la prima volta, e per altri cinque la seconda e la terza. Quindi la prima chiusura effettiva di una trivella avverrebbe tra due anni, per l’ultima bisognerà aspettare invece il 2034.
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Che cosa cambierebbe realmente?
Dai pozzi situati entro le 12 miglia si estrae soprattutto metano, ma il nostro Paese attualmente importa già idrocarburi per soddisfare la domanda di energia. Fermando l’attività di queste piattaforme, per assurdo, l’Italia dovrebbe aumentare le importazioni da Stati che comunque perforano nel Mediterraneo, come l’Egitto e la Libia.
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Chi colpiremo con il referendum?
Sicuramente l’Eni, che attualmente gestisce le piattaforme che rischiano di chiudere. La compagnia di Stato italiana è attualmente azionista di maggioranza di 76 impianti su 92, mentre Edison ne possiede solo 15. Una invece è di proprietà della compagnia inglese Rockhopper. Ma a pagare lo scotto del referendum saranno ovviamente anche moltissimi italiani che perderanno il loro posto di lavoro. Si calcola che l’attività estrattiva in Italia da lavoro a circa 10 mila persone, che diventano 29 mila se si considerano anche dli addetti all’indotto esterno al settore.
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Le Piattaforme inquinano?
In teoria sì, e a confermarlo è un documento pubblicato di recente da Greenpeace. Le trivelle in mare sarebbero pericolose sia per la nostra salute che per quella della fauna ittica. Il rapporto, basato su dati raccolti fra il 2012 e il 2014 e relativi a 34 piattaforme a gas gestite dalla compagnia dell’Adriatico, confermerebbe che le piattaforme in mare inquinano. Ma secondo alcuni movimenti e associazioni contro il referendum sulle trivellazioni, i limiti di legge presi come riferimento da Greenpeace valgono per le acque che distano un miglio dalla costa, mentre le piattaforme sono molto più lontane. Nella relazione definitiva si conclude che comunque non esistono criticità per l’ecosistema marino legate alle piattaforme.
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