Dopo anni di lotta e al termine di una seduta parlamentare durata 18 ore, il primo dicembre del 1970 la legge sul divorzio in Italia fu approvata definitivamente dalla Camera.
La legge numero 898 è conosciuta come “Fortuna-Baslini”, dal nome dei due deputati, Loris Fortuna (socialista) e Antonio Baslini (liberale), primi firmatari delle proposte di legge che furono abbinate nel corso di un lungo iter di approvazione parlamentare, dopo anni di conflitti che proseguirono anche negli anni successivi e dopo che fuori dal parlamento la riforma era stata chiesta e sostenuta dai movimenti delle donne e dai radicali.
Nel 1974 si tenne il referendum abrogativo della legge. Fu il primo nella storia della Repubblica e venne promosso dalla Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani, il segretario. Si votò il 12 e il 13 maggio e andarono alle urne più di 33 milioni di persone e la Baslini-Fortuna fu definitivamente confermata.
Per quanto concerne il divorzio nell’ordinamento italiano, almeno dieci proposte di legge vennero bocciate soprattutto a causa dell’influenza della Chiesa cattolica. Nel 1878 ci fu un tentativo da parte del deputato Salvatore Morelli che venne per questo rappresentato in una vignetta circondato da donne in abiti maschili con sigaro e cilindro.
Nel 1902 il Governo Zanardelli elaborò una proposta che però non venne mai approvata. Poi con la guerra, il fascismo, i Patti Lateranensi trascorsero più di trent’anni prima che una legge sul divorzio venisse quantomeno riproposta. L’Italia rimaneva uno dei pochi paesi europei in cui, se non per morte, vigeva l’indissolubilità del matrimonio.
Era previsto l’istituto giuridico della separazione legale: un giudice poteva cioè riconoscere che due persone non potessero più continuare a vivere insieme. L’unico vincolo era rimanere legate dall’obbligo della fedeltà e dell’assistenza reciproca: non potevano dunque formare una nuova famiglia. Era invece possibile ottenere l’annullamento attraverso la Sacra Rota, ma solo in casi esclusivi e specifici, ma soprattutto solo per chi si poteva economicamente permettere tutta la procedura: separarsi era dunque un privilegio.
Il lungo iter parlamentare sul divorzio iniziò quando il deputato socialista Loris Fortuna presentò nell’ottobre del 1965 un progetto di legge sui “Casi di scioglimento del matrimonio”. Lo scontro fu da subito molto violento, tra uno schieramento laico che appoggiava il progetto Fortuna e i deputati cattolici che arrivarono a denunciarne il «contenuto rivoluzionario».
Nilde Iotti, il 25 novembre del 1969, quando l’iter legislativo era ormai alle ultime battute, chiese la parola alla Camera dei Deputati, e fece un discorso diventato famoso nella storia dei diritti delle donne:
«Nel passato la famiglia ha costituito essenzialmente un momento di aggregazione della società umana, basato su motivi molto diversi, l’accasamento particolarmente per le donne, la procreazione dei figli, la trasmissione del patrimonio. Questi erano i motivi fondamentali che portavano alla costituzione della famiglia; la famiglia, cioè, ha risposto, in qualche modo, alla ricerca di collocazione sociale degli individui. (…) A noi pare che ciò che nel mondo moderno spinge le persone al matrimonio ed alla formazione della famiglia, ciò che rende morale nella coscienza popolare la formazione della famiglia, sia in primo luogo l’esistenza di sentimenti. (…) Questa, io credo, è oggi la base morale del matrimonio. (…)
(…) Vedete, onorevoli colleghi: per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna – in ogni tempo, ma soprattutto direi, nel mondo di oggi – essi possono anche mutare; e quando non esistono più i sentimenti, non esiste neppure più, per le ragioni prima illustrate, il fondamento morale su cui si basa la vita familiare. Abbiamo dunque bisogno di ammettere la possibilità della separazione e dello scioglimento del matrimonio.
(…) Certo, noi sappiamo molto bene che quando una famiglia si dissolve la condizione dei figli diviene estremamente grave; noi non possiamo disinteressarcene, come se questo fatto non esistesse. Ma credo che vi sia un fatto che precede questo e che non possiamo dimenticare, e cioè che i figli sono sì importanti nella vita di un nucleo familiare, ma i protagonisti della famiglia non sono i figli: sono il padre e la madre. Sono questi ultimi a determinare la vita familiare ed il livello morale di essa; non la presenza dei figli.
(…) La Chiesa stessa non ha mai fatto questione, nelle sue sentenze di nullità del matrimonio, della presenza dei figli. Non è mai stata questa una ragione che abbia impedito ai tribunali ecclesiastici di emettere sentenze di nullità del matrimonio. (…) Aggiungo, infine, onorevoli colleghi, che la condizione dei figli in una famiglia tenuta insieme per forza, in una famiglia dove la violenza o, peggio – dico peggio – l’indifferenza sono alla base dei rapporti dei coniugi, è la peggiore possibile, e causa la devastazione della loro personalità».
Dopo la prima approvazione alla Camera, la discussione passò al Senato che votò il 9 ottobre del 1970. Il testo emendato tornò alla Camera che il 1 dicembre del 1970 lo approvò in via definitiva.
Nel 2015 è stato approvato un disegno di legge che introduce il cosiddetto divorzio breve, che riduce il periodo tra separazione e divorzio, e anticipa lo scioglimento della comunione dei beni.