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L’Italia perde una tra le ultime partigiane testimoni della Resistenza
Ci ha lasciati a 96 anni Lidia Menapace, donna straordinaria e attivista di spicco del movimento pacifista e femminista. Da martedì era in gravissime condizioni a causa del Covid-19 che l’aveva purtroppo contagiata.
L’Italia perde una tra le ultime partigiane testimoni della Resistenza. Una voce sempre libera, forte esponente della lotta per le donne, per i diritti e per la pace. Scolpito nella mente di tutti è il suo ultimo intervento in piazza risale a un anno fa, quando il 13 dicembre a Bolzano salì sul palco delle Sardine e disse soddisfatta: «Quando le piazze si riempiono è sempre un buon segno». Così è riportato da IoDonna.
Sempre stata profondamente appassionata e instancabile mentre raccontava la Resistenza ovunque potesse farlo: il suo luogo prediletto però erano le scuole dove andava sempre con infinito piacere.
Lidia Brisca (Menapace è il cognome del marito Nene con cui ha condiviso la vita) nasce a Novara nel 1924 e da giovanissima diventa staffetta partigiana nella formazione della Val d’Ossola. Nome di battaglia: Bruna, «anche se mai ho voluto toccare le armi», ci teneva a dire.
Nel 1964 Lidia Menapace è stata la prima donna eletta nel Consiglio provinciale di Bolzano con la Democrazia cristiana insieme a Waltraud Deeg. In quella stessa legislatura diventa la prima donna ad entrare nella giunta provinciale, come assessora effettiva per affari sociali e sanità. Nel 1968 però, lascia la Democrazia cristiana e dopo esseri professata marxista.
Nel 1969 è tra i fondatori nel primo nucleo de “Il Manifesto” per il quale ha scritto fino agli anni ’80. Dal 2006 al 2008 è senatrice di Rifondazione comunista, ma la sua carriera finisce davanti alle sue dichiarazioni contro le Frecce tricolori: «Sono uno spreco e inquinano, solo in Italia vengono pagate con i fondi pubblici».
Finisce il suo impegno in Parlamento, ma non per questo interrompe l’attività politica. Nel 2011 entra nel Comitato Nazionale dell’Anpi. Nel 2013 viene lanciata una raccolta firme perché fosse nominata senatrice a vita. Ma non lo diventerà mai.
Femminista e attivista, nella sua lotta c’era una consapevolezza che arrivava dagli insegnamenti della mamma che diceva sempre alle figlie «siate indipendenti economicamente e poi fate quello che volete». La libertà economica come punto di partenza indiscutibile per l’emancipazione delle donne.
Ma non solo: fu la prima a mettere l’accento sull’importanza del “linguaggio sessuato come strumento fondamentale contro il sessismo”, anticipando una delle battaglie che ancora oggi vengono combattute.
Nel 1993 nella prefazione di “Parole per giovani donne” scrisse così: «Se è tanto poco, dicevo, perché non si fa? Non si fa perché il nome è potere, esistenza, possibilità di diventare memorabili, degne di memoria, degne di entrare nella storia in quanto donne, non come vivibilità, trasmettitrici della vita ad altri a prezzo della oscurità sulla propria».
Rispondendo con una frase a tutti coloro che ancora oggi si ostinano a non declinare al femminile sindaco, avvocato e ministro.
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