Negli ultimi giorni in Italia si è tornati a parlare molto di revenge porn per via di un canale Telegram in cui si condividevano foto intime di donne e ragazze ( nella maggior parte dei casi rubate dai profili Instagram) e materiale pedopornografico. Il gruppo si chiamava “Stupro tua sorella 2.0″ e conteneva decine di migliaia di iscritti e ora è stato chiuso a seguito delle segnalazioni.
Il problema fondamentale è di tipo culturale, con la mancanza di una vera educazione che liberi da pregiudizi, stereotipi, doppi standard e riconosca concetti come libertà sessuale e consenso.
Per questo motivo, gli strumenti per contrastare il revenge porn devono essere innanzitutto di tipo culturale. È importante continuare a parlarne—e che a parlarne siano anche gli uomini, dato che la condivisione di materiale non consensuale avviene nella maggioranza da parte di uomini (a danno di donne soprattutto, senza sottovalutare il problema nella comunità gay).
Ovviamente non parliamo di un solo tipo di foto e video: oltre ai filmati e alle immagini intime ed esplicite, online vengono caricate senza consenso anche foto ritoccate, ad esempio, per sembrare pornografiche (ne è un esempio il caso raccontato qualche giorno fa da Klaudia Poznanska) o trafugate dai social. Quest’ultimo è proprio il caso di Martina, 24enne le cui immagini in costume erano finite su un sito porno, e di Alice, 23enne. Alice è finita sul canale Telegram di cui si è parlato in questi giorni, e spiega: “Le mie foto non erano di nudo. Erano delle mie foto in costume, che avevo messo su Instagram, ma venivano presentate come qualcosa di osceno. Dando il via ad ogni genere di commento sessista e denigratorio.”
In caso di condivisione non consensuale ci sono una serie di leggi da tenere in considerazione. Innanzitutto c’è l’articolo 612 ter del codice penale, che riguarda la diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti. Tutte le diffusioni di immagini esplicite e illecite, non solo quelle condivise per vendetta.” In secondo luogo, poi, c’è l’articolo 167 del codice della privacy, che tratta “il trattamento illecito di dati, effettuato senza consenso. Prevede delle fattispecie di penale rilevanza, che possono avere delle pene variabili fra sei mesi e tre anni.
Un argomento spinoso, è la raccolta delle prove per poter denunciare. La prima reazione più comune, infatti, è quella di fare degli screenshot anche se queste prove non sono sufficienti. Qualsiasi avvocato difensore, in caso di processo, infatti, potrebbe sostenere che gli screenshot siano stati manipolati. Per fare una denuncia, servono le prove digitali. Che sono delle evidenze, raccolte attraverso dei servizi online, che garantiscono la veridicità di quanto raccolto. Il modo migliore per fare una denuncia è quello di presentarsi dalle autorità con una chiavetta usb, o un cd, che contengano queste prove, e un breve documento che illustra dove sono state repertate, con tutti i link giusti e diretti. Così si aiutano le autorità a svolgere le indagini nel modo più rapido e funzionale possibile.
Un’altra possibile reazione iniziale, è quella di estrapolare da queste chat e gruppi tutte le prove che si riescono a rintracciare, anche quelle non relative alla propria persona. Nonostante l’indignazione è importante mantenere la calma e non scaricare foto che non ci riguardano. Anche quando lo si vorrebbe fare in buona fede, per denunciare. Quando si sporge una denuncia, lo si deve fare portando solo le prove digitali che ci riguardano direttamente. Se invece si vuole denunciare un gruppo di cui siamo a conoscenza, ma di cui non si è vittime, si può fare un esposto. Le prove devono essere raccolte con grande prudenza, non scaricando niente. Perché, faccio un esempio estremo, se si tratta di foto di minori, si sta commettendo un reato grave anche solo detenendole.
Esistono tre livelli di sostegno: le forza dell’ordine, gli avvocati e le associazioni di categoria e forme di aiuto stragiudiziale. Solitamente si va dalla polizia postale, che ha competenze in materia digitale. Ma è importante chiarire che la polizia postale non è l’unica forza dell’ordine che è competente in materia: si può anche andare dai carabinieri, in questura. In alternativa ci si può rivolgere ad un avvocato, o a un’associazione di categoria per ottenere supporto legale, e capire meglio come muoversi per denunciare e perseguire la strada giudiziale. Infine c’è la via stragiudiziale: rivolgersi a delle start up a vocazione sociale che offrono la cristallizzazione delle prove digitali, e aiutano le vittime ad ottenere rimozione dei contenuti sulle piattaforme, quando possibile.
A volte capita di essere aggiunti in questi canali o chat, senza sapere cosa contengono. Quando accade il primo consiglio è di eliminare subito la condivisione automatica di foto dai sistemi di messaggeria istantanea alle gallerie (sia interne, che in cloud) del vostro dispositivo. Se dovesse capitarvi di scaricare senza volerlo delle immagini pedopornografiche, per fare un esempio estremo, vi trovereste in una situazione grave. Perché già detenerle è un reato, e cancellarle potrebbe essere considerata un’aggravante. Se dovreste trovarvi in questa situazione, vi consiglio di chiamare subito un avvocato. Nel caso di immagini di non appartenenti a minori, scaricate senza volerlo, la soluzione migliore è quella di cancellare tutto immediatamente stando attenti ad eliminare le foto anche dai sistemi cloud. Inoltre è importante uscire subito da questi gruppi, segnalandoli subito alle piattaforme di competenza. appartengono.