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Il burqa non è l’Afghanistan: l’urlo delle donne contro i talebani
Il burqa non fa parte della cultura afghana, eppure i talebani hanno imposto rigorosissime regole di abbigliamento. Da quando Kabul è sotto il dominio talebano, qualsiasi passo che sia stato fatto verso l’emancipazione femminile è stato cancellato nell’arco di poco più di un mese.
La bellezza della cultura afghana viene espressa attraverso il vestiario, il trucco e le acconciature che le donne indossano. #DoNotTouchMyClothes è il trend che sta spopolando nel web, che vede protagoniste donne afghane con i loro abiti più belli e più colorati possibili. Ma cosa sta accadendo in Afghanistan?
#DoNotTouchMyClothes: il volto delle donne afghane
Le afghane in tutto il mondo stanno postando sui social le proprie foto nei tradizionali vestiti locali in risposta a quanto è stato deciso domenica. Il ministro dell’Istruzione superiore del nuovo regime, Abdul Baqui Haqqani, ha annunciato che le università del Paese saranno segregate per genere, poiché le classi miste sono ritenute contrarie all’islam.
Sarà obbligatorio un codice di abbigliamento che rispetti la sharia. Il giorno prima, sabato, si era tenuta una manifestazione di donne che sostengono i talebani alla Shaheed Rabbani Education University. Centinaia di loro erano state fotografate coperte dalla testa ai piedi con l’abaya e il niqab neri, nelle mani le piccole bandiere talebane.
Non toccate i miei vestiti, urla il web. I talebani stanno strappando qualsiasi diritto conquistato negli anni, costringendo una società a regole che non gli appartengono. La vera immagine delle afghane è quella di donne dagli abiti scintillanti, emblema di un mondo che giorno dopo giorno stanno reprimendo sempre più. L’obiettivo è far sentire la propria voce, non lasciare che qualcuno la porti via.
Chi ha dato il via alla campagna social contro i talebani
A dare il via alla campagna social è stata la dottoressa Bahar Jalali, ex professoressa di storia all’Università americana in Afghanistan. Jalali, scrive la Bbc, spiega di aver lanciato l’hashtag perché preoccupata dal fatto che l’identità afghana sia sotto attacco.
Questo è il nostro vero volto, dice su Twitter postando uno scatto in cui compare con un vestito verde smeraldo. Non quello oscuro, apparso al raduno pro-talebano. Sono colori, espressione, luce pura che non ha nulla a che vedere con quanto propongono e impongono i talebani.
“Il burqa non ha mai fatto parte della nostra cultura”
“Il burqa non ha mai fatto parte della nostra cultura. Le donne afghane indossano abiti colorati”. Afferma su Twitter l’attivista Spozhmay Maseed, “I nostri vestiti tradizionali rappresentano la nostra ricca cultura e la nostra storia, che ci rende orgogliosi di ciò che siamo”.
Lima Halima Ahmad è una ricercatrice afgana di 37 anni e fondatrice della Paywand Afghan Association, che si occupa di questioni femminili. Ha postato uno scatto in compagnia del marito. I suoi lunghi capelli sciolti cadono su un abito impreziosito di ciondoli argento, sul petto spicca una stoffa rossa ricamata: “La nostra cultura non è oscura, non è in bianco e nero. E’ colorata e c’è bellezza, c’è arte, c’è artigianato e c’è identità”.
Malali Bashir: “Un burqa non è mai stato una norma”
Su Twitter parla anche Malali Bashir, giornalista afghana con sede a Praga. Posta un dipinto, che ritrae donne afghane in festa, danzanti nei loro abiti vivaci: “Un burqa, nero o blu, non è mai stato una norma. Le donne anziane indossavano un copricapo nero e quelle più giovani indossavano scialli colorati. Le donne salutavano gli uomini stringendosi la mano”.
Cosa sta succedendo a Kabul?
Sempre via social erano arrivati i primi appelli già dopo la presa di Kabul, che ha ripristinato il dominio dei fondamentalisti, pronti a mostrare un nuovo volto in favore di telecamera. I diritti delle donne saranno rispettati in conformità con quanto previsto dalla sharia, potranno uscire di casa e studiare, aveva affermato il portavoce Suhail Shaheen nei giorni della conquista.
Dall’Afghanistan, già allora, arrivavano informazioni differenti, di un’avanzata repressiva, con ragazze strappate dalle braccia dei padri per essere consegnate ai soldati, bottino di guerra.
I talebani inizialmente avevano dichiarato di avere intenzioni diverse in merito a diritti, inclusività e donne. L’Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet si è pronunciata a riguardo. “Costernata dalle lacune del cosiddetto governo provvisorio, che non include donne” e rappresentanti delle minoranze.
“In contraddizione con le assicurazioni ricevute nelle scorse settimane in cui i talebani si sono impegnati a sostenere maggiormente i diritti delle donne, nelle ultime tre settimane quest’ultime sono state invece progressivamente escluse dalla sfera pubblica”. Lo riporta l’HuffPost.
Donne afghane al governo?
Si era detto che le donne potevano ambire ad una carriera politica soltanto seguendo la sharia. Un annuncio in particolare ha reso chiara la posizione che i talebani hanno pensato per le afghane.
“Una donna non può fare il ministro. E’ come se le mettessi sul collo un peso che non può sostenere. Non è necessario che le donne siano nel governo, loro devono fare figli”. Lo ha dichiarato il portavoce talebano Sayed Zekrullah Hashim, rispondendo in un’intervista alla rete afgana Tolo News a una domanda sul nuovo esecutivo esclusivamente maschile, “Le donne che protestano non rappresentano tutte le donne afghane”.
Le proteste delle donne afghane contro i talebani
Tra il 1996 e il 2001 durante il regime islamico, rovesciato dagli americani dopo l’attentato alle Torri gemelle in Afghanistan alle donne non veniva permesso di uscire di casa, se non accompagnate da un tutore maschio. Il burqa era obbligatorio, non potevano truccarsi, usare smalto, indossare gioielli. Era terrore, come lo è adesso. Nessuna libertà di espressione, nessuna possibilità di riscatto. Lo sguardo non doveva incrociare quello di un maschio, la mano non poteva stringere quella di sesso opposto.
Racconta il Guardian che il ritorno dei talebani ha riportato le bancherelle a riempirsi di burqa blu e neri, venduti a prezzi maggiorati, comprati da impensabili acquirenti, che vedono nell’abito un modo per proteggere se stesse e le proprie figlie. La paura che non si possa più avere un minimo di libertà aumenta incessantemente, questo ha portato donne di tutto il mondo ad unire le proprie voci per lottare contro il soffocamento della propria identità.
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