Un esame del sangue, la biopsia liquida, potrebbe rivelare in soli 15 giorni – e senza la necessità di attendere la TAC di controllo – se la cura antitumorale per le donne con cancro al seno metastatico sta funzionando oppure no, e ciò attraverso l’osservazione dell’andamento di due biomarcatori, ovvero due elementi caratterizzanti la neoplasia.
È questo lo scenario che potrebbe rendersi possibile per le donne con cancro al seno metastatico ormonosensibile Her2 negativo in trattamento con la terapia indicata e maggiormente efficace (ribociclib in associazione con la terapia ormonale letrozolo).
Questa forma di neoplasia è quella più diffusa e che interessa circa il 60-70% delle pazienti metastatiche. In Italia colpisce 7-8mila donne ogni anno.
Il risultato preliminare arriva da uno studio condotto interamente in Italia (BioItaLEE), che sarà presentato al Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) che si apre oggi a Chicago. Lo studio ha coinvolto 287 pazienti di 47 centri italiani. Si tratta di uno studio di medicina di precisione che “va a individuare nel sangue specifiche informazioni – spiega il responsabile della ricerca Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toracico-polmonare dell’Istituto Pascale di Napoli – ovvero tracce del DNA tumorale circolante e un parametro biochimico (tirosinochinasi A)”.
Questo esame evita alle pazienti “ tossicità ed effetti collaterali inutili. Se i dati fossero confermati, con la biopsia liquida potremmo dunque sapere in netto anticipo quali tumori sono resistenti al trattamento“. Ed il vantaggio è anche per il sistema sanitario, dal momento che la metodica è non invasiva e a basso costo. “ci concentreremo sulle pazienti risultate resistenti alla cura standard, per capire se ci sono mutazioni particolari, per poter poi personalizzare la terapia proprio sulla base dei meccanismi di resistenza della paziente. Si va cioè, sempre di più, verso un’oncologia di precisione“.
Tutte le pazienti coinvolte, candidate a ricevere la terapia standard, sono state sottoposte a un prelievo di sangue prima di iniziare il trattamento, poi ripetuto al 15/mo giorno dalla terapia. Andando a misurare la presenza dei due biomarcatori, “al 15/mo giorno ci siamo resi conto che eravamo già in grado di suddividere le pazienti tra quelle altamente rispondenti alla terapia e quelle scarsamente rispondenti”. Un passo avanti estremamente significativo: “Il vantaggio, se questi dati saranno confermati, è innanzitutto che la cura non sarà più portata avanti per alcuni mesi per poi fare la tac di controllo per comprenderne l’esito, ma già dopo15 giorni si potrà valutare se la terapia funziona e se non è così le pazienti possono essere indirizzate subito verso una cura alternativa“.
Si tratta di un modello di ricerca che si colloca nell’oncologia di precisione e apre importanti prospettive per cronicizzare la malattia metastatica. Siamo di fronte a dati preliminari e sono necessari ulteriori studi clinici. La loro utilità però potrebbe essere cruciale . Nel 2020, in Italia sono stati stimati circa 55mila nuovi casi di cancro al seno. Più di 37.000 donne vivono oggi con la malattia metastatica.