Il test del Dna libero o del Dna fetale è un nuovo esame prenatale che promette alle future mamme di prevedere in maniera quasi del tutto certa il rischio di alterazioni cromosomiche del bebè attraverso un semplice prelievo del sangue, senza ricorrere ai classici esami invasivi che ancora oggi sono quelli più indicati per identificare la Sindrome di Down e patologie affini. La scoperta scientifica dello screening genetico non invasivo prenatale delle patologie cromosomiche è da ricondurre al primo polo universitario di Tor Vergata di Roma e si basa sul sequenziamento di frammenti di Dna fetale che circola libero nel plasma della madre.
Sembra che le nuove neomamme potranno avere un’alternativa in più ad amniocentesi e villocentesi per identificare eventuali malattie genetiche del feto, sottoponendosi ad un semplice prelievo di sangue materno durante la gravidanza. Il test sembra essere capace di individuare la presenza nel nascituro di trisomia 21, cioè l’alterazione cromosomica che provoca la Sindrome di Down, con un grado di probabilità pari al 99,5%, con un’affidabilità molto vicina a quella di amniocentesi e villocentesi. Oltre a questa patologia, lo screening prenatale permetterebbe di individuare anche altre due trisomie comuni: la Sindrome di Edwards, conosciuta anche come trisomia 18 e la Sindrome di Patau, nota come trisomia 13. Qui la probabilità si attesta poco superiore al 90% e dunque con una sicurezza minore a quella per la Sindrome di Down, ma comunque piuttosto elevata.
Il test può essere effettuato a partire dalle 10 settimane di gravidanza, anche se sembra che il momento ideale sia la dodicesima settimana. Il consiglio degli esperti è quello di non anticipare troppo per effettuare il test perchè, basandosi sulla presenza di cellule del feto, o meglio della placenta, nel sangue della mamma, la quantità di DNA fetale presente nel plasma materno potrebbe non essere sufficiente per effettuare l’indagine in modo veritiero.
Uno dei vantaggi dello screening prenatale con prelievo del sangue è sicuramente quello di essere un esame non invasivo che non comporta pericoli e disagi per la gestante e il bambino. Di contro, però, tra i limiti del test, vi è il costo elevato che si attesta intorno ai 1000 euro e solo alcuni laboratori privati italiani possiedono il kit di prelievo. Inoltre, sembra che tale esame sia solamente uno screening e non una vera e propria diagnosi e che, quindi, sia in grado di evidenziare il rischio che il feto sia affetto da malattie genetiche e non di diagnosticare la presenza o l’assenza della malattia. Proprio per questo se lo screening dovesse risultare positivo ad eventuali patologie, le società scientifiche raccomandano di accertarlo con un esame tradizionale più preciso prima di prendere qualsiasi decisione in merito.