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Diventare ed essere papà: uno speciale dedicato a lui per un corretto uso della paternità!
Per quanto riguarda la figura del papà, se usassimo il metodo di giudizio per la assegnazione degli Oscar, bisognerebbe chiamarlo “attore non protagonista” anche se potrebbe sembrare una definizione riduttiva per il ruolo acquisito dal papà moderno.
Nelle mie conferenze, in cui uso piuttosto facilmente l’ironia e tendo a forzare un po’ la disponibilità intellettuale di chi mi ascolta, alla domanda precisa sulla figura del padre, ne do questa definizione: “un indispensabile accessorio”.
Fino a non molti anni fa (una generazione o forse, in alcuni casi, anche due) i padri erano tenuti (e tenevano se stessi) al di fuori della gestione del bambino nella prima infanzia.
Occuparsi dei bambini era considerato da sempre un “compito da donne”.
Devo ammettere che, per fortuna, oggi la situazione si è in gran parte (non ancora totalmente) modificata e il ruolo del padre da marginale sta diventando sempre più un rilevante.
Credo che dietro questo cambiamento ci siano motivazioni culturali, ma anche esigenze utilitaristiche: è scomparsa la famiglia tradizionale (che un tempo si chiamava “allargata”, ma oggi “allargata” vuol dire un’altra cosa) che nei riguardi della mamma e del bambino forniva un grande sostegno organizzativo e culturale.
Oggi la famiglia tipo è ormai composta da papà, mamma e figlio. I nonni, nonostante il prolungamento della vita o forse proprio per questo, stanno scomparendo, non fisicamente ma per quel che riguarda il loro ruolo; speso lavorano ancora o si sono ritagliati interessi nuovi. Ne deriva che una donna, una giovane mamma, specialmente con il primogenito, ha a che fare con un “oggetto misterioso” – che oltretutto è suo figlio – per cui ogni azione che lo riguarda si carica di incertezze e di ansie. Ecco allora che il papà, più che le nonne, può essere l’elemento rassicurante, sdrammatizzante ed equilibratore della famiglia. La presenza costante del papà modella e concretizza il suo ruolo:
Più c’è, più diventa un riferimento importante.
Attenzione però a non diventare una altra “mamma”. A volte arrivano in ambulatorio padri che escludono totalmente la moglie nel darmi notizie della vita del bambino, e se la mamma osa dire qualcosa viene zittita. Così non va bene. In questi casi, intuendo il suo disagio – o meglio, la sua sofferenza – cerco di coinvolgere la mamma con domande dirette. Quel che serve non è una sovrapposizione, ma un’integrazione di ruoli.
Con grande soddisfazione invece vedo papà che cambiano senza imbarazzo pannolini, puliscono sederini, danno il biberon, si alzano di notte… e giorno dopo giorno, insieme alla mamma, scoprono con gioiosa meraviglia il bambino e i suoi progressi.
Al di là dei suggerimenti pratici, il ruolo del papà dev’essere di totale condivisione di tutti i problemi legati alla vita del bambino, con la consapevolezza e l’umiltà di sapere che nei primi anni la figura più importante per il bambino è la mamma. E il suo compito, e la sua importanza per il benessere del bambino, diventa mantenere la mamma nelle migliori condizioni di salute fisica e mentale! Quando un padre ha fatto questo, ha fatto ampiamente il suo dovere di padre.
Detto questo – cioè una serie di veri e propri luoghi comuni da” psicologia da media” sul ruolo del papà visto quasi più come una “tata” sia pure con maggiori responsabilità di tipo etico, affetti vo ed intellettivo – devo confessarvi che mi intriga molto di più capire come il ruolo del padre viene visto dal bambino: è qui che il discorso diventa più difficile.
Io credo che il problema di fare il papà moderno non sia solo imparare a cambiare il pannolino, bensì quello di diventare una figura morale e comportamentale di riferimento importante, perenne e indistruttibile. Non a caso gli psicologi ritengono che i bambini in età scolare con un padre partecipe della loro vita fin dalla prima infanzia, rispetto agli altri mostrano anche un maggiore senso dell’umorismo, maggiore durata dell’attenzione, e maggiore passione per l’apprendimento. E anche gli adolescenti che riescono a inquadrare la figura del padre in un solido modello fornitore di valori etici e comportamentali acquisiscono un’autonomia di azione più sicura e più capace di affrontare le tensioni, le sfide, i successi e gli insuccessi della vita.
Ecco perché non mi piace percorrere il luogo comune del papà “tata”.
Tra l’altro, secondo alcuni la disponibilità a prendersi cura fisicamente del bambino può, paradossalmente, talvolta diventare motivo di conflittualità interna o quanto meno di competizione tra i genitori, in quanto ciascuno dei due, nell’imparare il “mestiere” vede più facilmente gli errori dell’altro che i suoi.
In definitiva io credo che le leggi della natura richiedano per i bambini non genitori totalmente sovrapponibili, ma genitori da cui aspettarsi anche cose diverse, meglio se fatte con il massimo impegno.
Devo confessarvi che, con un certo fastidio, rilevo, leggendo qua e là, la meraviglia e l’entusiasmo degli psicologi nei riguardi della quasi ostentata emotività dei padri che presenziano al parto. Questi psicologi si sforzano in genere anche di rilevare che questa emozione paterna è del tutto sovrapponibile a quella delle madri, anche se, in realtà, a differenza delle mamma, sono stati solo spettatori e non attori delle dolorose fatiche del parto. Cercano di convincersi e convincerci che condividere l’esperienza del parto significa soddisfare al massimo le aspettative, le meraviglie e l’incanto di “diventare padre”.
Io credo che tutta quest’enfasi nell’attribuire ai padri sentimenti tipicamente femminili finisca per limitare la figura dell’uomo/padre entro i confini di una modesta personalità con scarsa autonomia di emozioni e di comportamenti e non faccia che favorire l’abbassamento del livello di responsabilizzazione di molti padri nei riguardi del ruolo che dovrebbero assumersi.
Non a caso, in un periodo in cui si dà molto spazio a questi atteggiamenti di condivisione , è aumentato il numero dei divorzi.
Va benissimo che un padre pulisca il sederino ai bambini e che sappia dare il biberon. Ma la figura del vero padre “moderno” per me è quella di un uomo più conscio del valore etico del suo ruolo, un uomo che dimentica i suoi egoismi di ex bambino viziato, che non pensa al bambino come un essere venuto al mondo per complicargli la vita, malo consideri una meravigliosa e fragile creatura che desidera solo essere accettato, capito, aiutato ad entrare nel mondo nel modo giusto. Un futuro uomo che per tutta la vita, a ogni azione importante che dovrà compiere, si chieda: “Che cosa ne penserebbe mio padre?” e non: “cosa farebbe mio padre?”.
Articolo tratto da I bambini crescono nonostante gli adulti del Prof. Ferrari.
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