Vi svelo un piccolo segreto professionale (non me ne vogliano i colleghi), ma l’Influenza” è spesso una “diagnosi di comodo” di noi pediatri. Tutte quelle malattie virali che causano brevi rialzi febbrili (1 o 2 giorni di febbre) senza sintomi particolarmente rilevanti, vengono da noi catalogate come influenze.
In realtà, la vera influenza (per cui viene consigliato il vaccino agli anziani e molto meno ai bimbi) è quella che si presenta una volta all’anno, che determina epidemie evidenti ed è causata da virus specifici che si distinguono in tre famiglie fondamentali denominate A-B-C. Di tali influenze, solo quelle di tipo A e B colpiscono l’uomo e i vaccini, di conseguenza, sono modellati su questi tipi di virus. Ecco perché, più di una mamma che ha fatto vaccinare il suo bimbo contro l’influenza, si meraviglia che, nonostante il vaccino, il bambino si ammali di tante influenze durante l’inverno; purtroppo, la vaccinazione lo ha difeso solo dal virus influenzale specifico, mentre nell’ambiente in cui vivono i bambini (casa e soprattutto scuola) ci sono numerosi altri virus, responsabili della varie febbri la pediatria considera “influenze”.
E allora come fare?
Ve lo dirò subito, ma prima voglio parlarvi di argomento che mi sta a cuore e che nei miei libri definisco “socializzazione immunologica”, argomento che servirà a farvi capire molte cose a proposito delle febbri e dei raffreddori dei vostri bimbi.
Quando i bimbi incominciano a frequentare l’asilo o la scuola materna, i genitori constatano un notevole incremento di malattie. Si tratta in genere di banali raffreddori, faringiti, tracheiti, tonsilliti, febbri, mal d’orecchio, tossi, enteriti. A me risulta facile definirle e considerarle banali, ma posso capire come invece dalle mamme possano essere viste come un momento difficile nella vita dei loro figli. In realtà, io credo che questi “aspetti apparentemente negativi” sia più corretto definirli “aspetti positivi” perché nel loro insieme rappresentano un periodo fondamentale dello sviluppo e della crescita del bambino. E vi spiego perché.
L’ingresso del bambino nella società-comunità significa non solo “socializzazione umana”, ma anche “socializzazione immunologica”. In altri termini oltre che incontrare altre persone, il bimbo incomincia ad incontrare anche altri “germi” (batteri e virus) che non aveva modo di conoscere quando viveva sotto la “campana di vetro” della propria casa.
Ad essere più precisi, è il suo sistema immunitario che li incontra, li conosce e si prepara, mediante la formazione degli anticorpi a combatterli. Questa battaglia, indispensabile per la sua vita futura ha un prezzo: le banali patologie di cui ho parlato prima. Sarà il pediatra a doverle gestire con prudenza e attenzione, cercando di sdrammatizzare una situazione che di drammatico non ha nulla e che anzi, sarebbe preoccupante se non accadesse.
Alle mamme più ansiose che mi chiedono se sia il caso di continuare a mandare i loro bambini in comunità quali il nido, o aspettare che crescano un po’ e si irrobustiscano, rispondo loro che non è una questione di irrobustimento fisico ma di una produzione di anticorpi che si formano proprio perché i bambini vengono a contatto con i germi e le piccole malattie che ne derivano che servono a potenziare le loro difese. Aspettare serve poco poiché, la stessa sequenza di malattie si verificherebbe anche se l’inserimento in comunità fosse più tardivo, cioè ai tempi della scuola materna o addirittura della scuola elementare.
Soltanto se mi trovo di fronte a bambini particolarmente vulnerabili e deboli, con scarsa crescita e con presenza di altre malattie importanti (ma sono casi rarissimi) consiglio di tenerli a casa. In condizioni normali, i bambini nel periodo della socializzazione immunologia, si ammalano, si ristabiliscono rapidamente, recuperano l’appetito e tornano a essere vivaci come prima, continuando ad avere il “naso che cola” e le tonsille ingrossate e la tosse continua. E dopo 20/30 giorni di nuovo febbre, aumento della tosse ecc. In una alternanza che con il passare del tempo si attenua fino a scomparire negli anni successivi. Perciò non ha senso sconsigliare, per questi motivi, la frequenza al nido a un bambino sano.
Ritorniamo al “cosa fare”? I due sintomi più comuni di questa fase di “socializzazione immunologica” sono dunque la febbre e la tosse. Questa volta impariamo bene a conoscerle:
Per febbre s’intende un aumento della temperatura corporea al di sopra dei valori normali. La febbre è una naturale reazione di auto protezione che l’organismo mette in atto quando viene colpito da virus o da batteri. Con l’aumento della temperatura, l’organismo accelera il suo metabolismo e mobilita più rapidamente i suoi meccanismi di difesa.
Non vengono ritenuti attendibili altri termometri o altre modalità di rilevamento. La temperatura della bocca e del retto sono soggette a variazioni legate alla situazione locale: ad esempio in caso di difficoltà respiratoria nasale per raffreddore, o in caso di infiammazione della bocca o della gola, oppure in caso di irritazione anale per diarrea o per stitichezza, spesso si rivelano superiori alla reale temperatura corporea.
Per convenzione si indica come massimo valore di temperatura normale cutanea esterna 37° gradi e di temperatura normale interna 37,5° gradi. Tuttavia, per quanto riguarda la cosiddetta temperatura “interna”, valori superiori anche di 1 – 2 grado possono ancora essere considerati normali, rappresentando solo livelli estremi di una variabilità individuale ancora nei limiti della norma. In parole più semplici è meglio evitare di prendere la temperatura rettale; se proprio non se ne può fare a meno, si sappia che essa non è totalmente affidabile e che fino a 38° non deve essere considerata febbre.
Premesso che il bambino in buone condizioni di salute ha una grande tolleranza per la febbre, la terapia sintomatica della febbre nella prima infanzia può essere giustificata per alleviare il disagio del bambino (se c’è disagio), per limitare l’ansia dei genitori ed anche per ridurre la probabilità della comparsa di convulsioni nei bambini a rischio. I farmaci possono solamente ridurre temporaneamente l’ampiezza e la durata della febbre ma non influenzano assolutamente la malattia in corso. Per cui il medico non deve rinunciare ad individuare la causa della febbre.
Premesso che è sempre meglio consultare il vostro pediatra, mi sento di darvi questi suggerimenti su quando intervenire con il farmaco antipiretico:
Oltre alle medicine, anche prima del loro uso, è utile mettere in pratica procedure raffreddanti:
Questi provvedimenti qualche volta sono sufficienti e devono essere sempre messi in atto allo scopo di ridurre le medicine.
Gli errori che più frequentemente vengono commessi dai genitori in caso di febbre sono:
I genitori spesso si stupiscono per i seguenti fatti:
Entrambi questi casi sono normali. La febbre nei bambini, quasi sempre, compare improvvisamente. Quasi tutte le malattie banali dei bambini insorgono in pieno benessere. Raramente sono precedute da qualche giorno di malessere, che si ha invece per le malattie più importanti. Quindi che la febbre compaia tutto d’un colpo non rappresenta certamente un fatto negativo e, tanto meno, strano. L’apparente inefficacia dei farmaci antipiretici, in effetti, non è reale: il farmaco agisce abbassando temporaneamente la febbre, ma senza farla scomparire. Persistendo la causa della febbre, cioè la malattia, cessato dopo 2 3 ore l’effetto del farmaco, la febbre ritorna. Quindi non ci si deve stupire se il farmaco “apparentemente” non funzioni. Qualche volta, addirittura, la temperatura non si abbassa neppure di pochi decimi, probabilmente in questo caso senza il farmaco la febbre sarebbe ulteriormente salita.
Bisogna preoccuparsi indubbiamente quando:
Naturalmente queste indicazioni impongono un controllo medico in tempi molto brevi.