Il vero nome di Tinto Brass è Giovanni Brass. Nasce a Milano, il 26 marzo del 1933, quindi ha 89 anni. È figlio di Alessandro Brass, avvocato penalista, e Carla Curletti. Il nonno, Italico Brass, è un pittore. Ha tre fratelli. Sceglie l’alias “Tinto”, il nomignolo affettuoso datogli dal nonno Italico, poiché da ragazzino ama disegnare (dal nome del pittore veneziano Tintoretto). Cresce a Venezia e si iscrive, nel 1951, alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Padova.
Quattro anni più tardi ottiene il nulla osta per quella di Ferrara, dove si laurea, nel 1957, con una tesi sui “Rapporti di lavoro con imprese della produzione cinematografica”. Appassionato di cinema, alla fine degli anni Cinquanta trascorre due anni come archivista alla Cinémathèque di Parigi, in Francia. Ha così modo d’avvicinarsi agli ambienti della Nouvelle Vague. Quanto torna in Italia, diventa aiuto-regista di Alberto Cavalcanti.
Mentre è già assistente di grandi registi, come Roberto Rossellini e Joris Ivens, Tinto Brass esordisce alla regia con “In capo al mondo“, nel 1963: di questo lungometraggio cura anche sceneggiatura e montaggio. In seguito cambia il titolo in “Chi lavora è perduto”. Partecipa a varie produzioni, come “Il disco volante” e “La mia signora”, quindi torna a lavori dai moduli espressivi sicuramente diversi, come Col cuore in gola” (1967), “L’urlo” (1968), e “Nerosubianco” (1969).
A questi seguono “Dropout” (1970) e “La vacanza” (1971). Proprio “La vacanza” rappresenta l’ultimo film brassiano non incentrato sull’erotismo. La pellicola successiva, infatti, è “Salon Kitty” del 1975, il cui tema centrale è la sessualità e il suo rapporto con il potere e il denaro. Esce nel 1979 “Caligola“, ricostruzione storica dalla produzione molto travagliata (Brass viene estromesso dal montaggio). “Action“, del 1980, si contraddistingue per una propensione al grottesco.
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Nel 1983 Tinto Brass gira “La Chiave” con Stefania Sandrelli, un film tratto dal romanzo omonimo dello scrittore giapponese Jun’ichirō Tanizaki. Il film ha un buon successo di pubblico e critica consacra il regista nell’Olimpo del genere erotico. Escono poi “Miranda” con Serena Grandi, nel 1985, e “Capriccio”, nel 1987, con Francesca Dellera.
È il 1988 quando Brass dirige “Snack Bar Budapest”, prendendosi una pausa dal cinema erotico (è un noir visionario). Torna all’erotismo più esplicito con “Paprika” del 1991, che lancia Debora Caprioglio, e “Così fan tutte” del 1992, con Claudia Koll. Due anni più tardi è la volta di “L’uomo che guarda”, liberamente tratto da un romanzo di Alberto Moravia.
Iniziano nel 1993 le riprese di “Tenera è la carne“: il film, dopo pochi giorni di riprese, subisce un arresto per la morte del produttore e, nel 1994, Tinto Brass scrive insieme ad Alda Teodorani la sceneggiatura di “Lola & il macellaio“. La regia de “Il macellaio” viene affidata ad Aurelio Grimaldi con altra sceneggiatura e Brass riutilizza molte scene nella sceneggiatura del successivo “Monella“.
Gira poi “Fermo posta Tinto Brass”, “Monella“, “Tra(sgre)dire” e “Senso ’45”, quest’ultimo uscito nel 2022. All’età di 70 anni, nel 2003, gira “Fallo!“, cui segue “Monamour” nel 2005. Nel 2009 Brass presenta a Roma la sua rivisitazione teatrale del Don Giovanni, ambientata nella Venezia nel 1930. Porta poi a una retrospettiva a lui dedicata alla Mostra del Cinema di Venezia, il cortometraggio “Hotel Courbet”.
Nel corso della sua carriera, Tino Brass collabora anche con la rivista Penthouse ed è attore dei film “La donna è una cosa meravigliosa” di Mauro Bolognini (1964), “Lucignolo” di Massimo Ceccherini (1999), “La rabbia” di Louis Nero e “Il nostro Messia” di Claudio Serughetti (2008), “Impotenti esistenziali” di Giuseppe Cirillo (2009).
Dirige il suo unico documentario a tema politico nel 1964: si tratta di “Ça ira – Il fiume della rivolta”. Scrive nel 2000 la prefazione per il libro “Così come sono” di Malisa Longo e nel 2012 quella per “Sette piccoli racconti erotici” di Federica Tommasi.
Il primo matrimonio di Tinto Brass è con Carla Cipiani, sceneggiatrice e collaboratrice, morta nel 2006. La coppia ha due figli: Beatrice e Bonifacio. Il regista sposa nel 2017, a 84 anni, la psicoanalista, ex-avvocata e attrice Caterina Varzi con una cerimonia civile nella sua villa romana. “Tinta, la mia prima moglie, e Caterina sono le donne più significative della mia vita”, racconta in un’intervista a Il Giornale.
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Parlando delle attrici con le quali ha collaborato, spiega: “Tutte hanno contribuito con la loro interpretazione alla realizzazione dei miei progetti estetici e le ricordo con gratitudine, sebbene alcune mi hanno rinnegato e altre rilasciano interviste e dichiarazioni non veritiere. Sono stato sempre corretto e ognuna di loro ha scelto con consapevolezza il ruolo che interpretava”.
Foto in evidenza di Gorupdebesanez – Own work, CC BY-SA 3.0.
Foto interna di Gorupdebesanez – Own work, CC BY-SA 3.0.