Dai primi passi a Miss Italia fino ai grandi successi sul grande e piccolo schermo: la carriera di Claudia Pandolfi tra cinema, TV e impegno sociale.
Fedez è la Gigliola Cinquetti del Terzo Millennio
(di Maria Paola Scaletta) Fedez è la Gigliola Cinquetti del terzo millennio. Ora che il sipario è definitivamente calato sull’edizione 2023 del Festival di Sanremo, è sin troppo chiaro quale sarà l’immagine iconica di questa sarabanda di frastuono, colori, risse un po’ bordellare e sul filo della sconvenienza: sempre che in Italia sia rimasto qualcosa di sconveniente.
Scolpita negli annali del gossip nazionale resterà a sempiterna memoria quello scatto che immortala quel simpatico mascalzone di Fedez nell’atto – finzione scenica, Ça va sans dire – di congiungersi carnalmente – per i benpensanti, contro natura – con Rosa Chemical.
Il paragone con Gigliola Cinquetti
Il cipiglio godurioso di Fedez nel simulare l’amplesso è la fotografia, il selfie per seguire l’onda maligna dei tempi, del nostro Paese. Siamo un popolo sguaiato di guardoni che non osano fare e si limitano ad un approccio in posa. Ed è qui che sovviene il paragone con la Gigliola Cinquetti. Nel 1964 scandalizzò il paese con “Non ho l’età”. Testo e musica che oggi non susciterebbero reprimenda nemmeno alle scuole elementari, dove si sa, pullulano torme di bimbe e bimbi accalappiati da quel “non registro” musicale che è youtube sculettando invasati sulle note di “Caramello”. Fatti non foste per viver come bruti: ma qui ci siamo fermati.
In fondo abbiamo quel che ci meritiamo. Se l’Italia in massa s’è genuflessa di fronte alla sgangherata esibizione in modalità kolossal de noiartri del festival, un motivo dovrà pur esserci. È il motivo è semplice. Seguiamo l’orma del diavolo che è dentro di noi. E ne godiamo al riparo del nostro tv led – ultimo vero focolare domestico – con pruriginosa gioia nel vedere il fallimento degli altri o la finzione che ci viene propinata come realtà. Accettiamo che la Costituzione venga difesa da un pagliaccio – di gran classe, ma pur sempre pagliaccio – e lo osanniamo probabilmente perché non abbiamo più nulla a cui aggrapparci.
In fondo, tutto quel che abbiamo visto sul palco di Sanremo è di una banalità sconcertante. A mente fredda si può intravedere la filigrana di un b-movie all’italiana degli anni settanta. Solo che al posto della soubrette di turno, lo psicodramma del politicamente corretto ha insinuato le mortali spoglie di tal Rosa Chemical.
Perché, pensandoci bene, in quella frazione temporale così breve e così determinante del Festival, si è celebrato il più banale degli schemi: il Ménage à trois. Solo che in ossequio alla modernità (per qualcuno puro e semplice decadimento dei tempi) al posto di lui, lei e l’altra ci siamo sorbiti un lui, lei e l’altro (o l’altra, o di genere neutro).
“Ferragni come una Sandra Mondaini qualsiasi”
Così alla fine, non si può provare compassione del dramma occorso alla Ferragni. Sbarcata a Sanremo per indottrinare il genere femminile sulla forza delle donne, se ne torna a casa come una Sandra Mondaini qualsiasi (ce ne fossero) con un bel paio di corna in Eurovisione. La sceneggiata sul palco sanremese ci restituisce Chiara come donna, sposa e madre. Niente di più bello, niente di più drammatico per una starlette che della provocazione e dell’anticonformismo aveva fatto religione laica. È il bello della diretta.
Infine, tocca precisare il decadimento fenomenologico della kermesse sanremese. Da puro noumeno immaginifico è degradato a fenomeno mass mediatico e cross mediale. L’immaginazione al potere, si gridava nel 1968. Qui, se tutto va bene, l’immaginazione la possiamo esercitare al cesso. Immaginando, ognuno come gli pare, un amplesso simulato.
Di musica, in questo Sanremo, neanche a parlarne. Ma non tutto è perduto. Forse abbiamo perso soltanto le canzoni e l’amore. Come tanti anni fa cantava Fabrizio De Andrè.
LEGGI ANCHE: Sanremo 2023, Iva Zanicchi: “Il Festival? Vinto da Ferragni e Fedez”
Maria Paola Scaletta
Lascia un commento