Spesso nelle aziende si parla di benessere psicofisico e di salute mentale dei lavoratori, in un periodo in cui diventa sempre più importante sensibilizzare sul tema. A prevalere, però, è lo scetticismo dei dipendenti che accusano i datori di lavoro di “mental health washing”, vale a dire di promuovere l’impegno nella salute mentale e nel benessere dei lavoratori solo in maniera superficiale o ingannevole senza attuare cambiamenti sostanziali. Si tratterebbe di un tentativo di migliorare la reputazione aziendale non dando, però, seguito ad azioni che migliorino concretamente la situazione. A dirlo è un sondaggio realizzato nel Regno Unito e riportato recentemente da Business Leader: il 79% dei lavoratori intervistati, infatti, non crede al proprio datore di lavoro quando parla di salute mentale o promuove iniziative in tal senso. La ricerca condotta su oltre 1000 dipendenti ha anche evidenziato come un quinto (il 19%) delle aziende quotate al FTSE 100 (l’indice azionario delle 100 società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange) ha pubblicato contenuti riguardanti la salute mentale sui propri canali social durante le giornate di sensibilizzazione senza, però, fare altri riferimenti durante il resto dell’anno. “Il benessere psicofisico dei lavoratori dev’essere prioritario per le aziende perché ha un impatto diretto sulla produttività e sulla sicurezza sul lavoro – spiega Tommaso Barone, HSE Coach e Advisor (tommasobarone.it) – L’equilibrio tra benessere fisico, mentale e sociale dei dipendenti è essenziale per prevenire incidenti e infortuni. Allo stesso modo, il benessere psicologico promuove un ambiente di lavoro positivo e la gestione delle emozioni. Fondamentale è la legge 81/08, una norma lungimirante che regola la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Se prima era l’uomo a doversi adattare al sistema, ora è il contrario”.
Secondo la ricerca Employee Wellbeing Survey 2023 pubblicata da Yahoo Finance i lavoratori sono infatti i primi a pretendere un posto di lavoro che sia attento al proprio benessere psicofisico. La survey ha visto la partecipazione di oltre 2mila dipendenti, provenienti da varie parti del mondo, che lavorano sia a tempo pieno in ufficio sia in modalità ibrida. Addirittura 9 lavoratori su 10 (90%) ritengono che le strutture e le offerte per il benessere siano cruciali nella scelta di un luogo di lavoro e l’82% si aspetta il supporto da parte dei datori di lavoro per raggiungere un equilibrio tra lavoro e vita privata. Aspettative che, sempre secondo il sondaggio, spesso non corrispondono alla realtà visto che due lavoratori su tre hanno riportato di aver vissuto situazioni negative per il proprio benessere sul posto di lavoro cosa che, per un quarto degli intervistati, si verifica “sempre o nella maggior parte del tempo”. Le emozioni legate a questo disagio sono frustrazione (42%), esaurimento (39%), demotivazione (38%), sentirsi sovraccarico (33%). A causare l’insoddisfazione sono invece l’eccessivo carico di lavoro (39%), la mancanza di riposo (29%), la mancanza di bilanciamento tra vita lavorativa e privata (24%), l’assenza di gratificazioni (24%) e un management non adeguato (24%). “Sempre più lavoratori danno giustamente importanza alla salute mentale, fisica e al benessere complessivo – prosegue Tommaso Barone – sta alle aziende percepire questa necessità e agire di conseguenza. Le relazioni aziendali e le attività ricreative contribuiscono ulteriormente al benessere sociale, creando un ambiente lavorativo sano e coeso. Bisogna tenere a mente che le persone che si trovano bene sul posto di lavoro sono più produttive, impegnate e leali”.
Ecco allora un decalogo sulle azioni che le aziende possono intraprendere per garantire il benessere psicofisico dei propri dipendenti secondo l’HSE Coach e Advisor Tommaso Barone: