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Utero in affitto in Italia, come stanno le cose? La ministra Roccella precisa

L’utero in affitto è reato in Italia, anche se non c’è nessun tipo di sanzione, in realtà non se ne è mai vista una. Si sa benissimo che si può accedere in altri Paesi e poi tornare in Italia con la serena consapevolezza che qualcuno registrerà il figlio anche come figlio del committente che non è legato biologicamente legato al bambino, il reato si annulla”.

Così la ministra alla Famiglia, alla Natalità e Pari Opportunità Eugenia Roccella ospite di Metropolis su Repubblica Tv.

Rispondendo ad una domanda sulla scritta genitore 1 e genitore 2 sui documenti, Roccella ha sottolineato: “Ci focalizziamo più su questioni terminologiche che su quelle essenziali come il bullismo o l’esclusione non nei confronti di categorie ma nei confronti di qualsiasi piccola fragilità o piccola differenza. I diritti dei bambini sono garantiti sempre”.

Cos’è l’utero in affitto?

Utero in affitto è un termine utilizzato per descrivere il processo di gestazione per altri, in cui una donna porta un bambino per conto di coppie o individui che non possono avere figli per vari motivi. Questa pratica è controversa per motivi etici e legali e non è consentita in molte Nazioni, tra cui l’Italia.

In Italia la surrogazione di maternità costituisce una pratica medica vietata, punita con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.

Il divieto è stato confermato nel 2017 dalla Corte costituzionale, la quale ha peraltro considerato come la pratica di surrogazione “offenda in modo intollerabile la dignità della donna e mini nel profondo le relazioni umane”.

Qualora si optasse di usufruire di questa pratica in Paesi esteri che lo permettono, si pongono alcuni problemi. Le norme italiane consentono il riconoscimento automatico dei genitori biologici e ammettono quindi la trascrizione dell’atto di nascita del neonato. Non sussistendo nell’ordinamento una norma che permetta il riconoscimento automatico del rapporto di genitorialità, si pone il problema del riconoscimento del legame familiare tra il/la figlio/a e il genitore non biologico (o genitore sociale); situazione che si verifica allorché l’ovulo o lo spermatozoo siano donati da un soggetto terzo. L’ipotesi è tipica delle coppie eterosessuali, quando la madre non è in grado di fornire l’ovulo alla donna portatrice, e delle coppie omosessuali.

Stante l’insussistenza di una disciplina che permetta l’instaurarsi del legame parentale tra il neonato e il genitore d’intenzione, alcune famiglie si sono rivolte alla magistratura evidenziando come il quadro normativo precluda il diritto del minore a vedere riconosciuto il suo rapporto con il genitore d’intenzione.

Nel 2019, tuttavia, la Cassazione ha negato ad una coppia di uomini la possibilità di trascrizione anagrafica dell’atto di filiazione straniero (canadese) includente entrambi come padri. Il rapporto biologico era solo tra il neonato ed uno dei soggetti richiedenti, mentre la Cassazione ha ricordato che, invece, due donne possono avere entrambe un rapporto biologico con un figlio: l’una tramite il gamete, l’altra con la gestazione.

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Foto da DepositPhotos.