Saman Abbas, chiesto l’ergastolo per tutta la famiglia

di Redazione
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A oltre quattro anni dalla tragica scomparsa di Saman Abbas, la giovane pachistana di 18 anni uccisa a Novellara nel 2021, il processo d’appello a Bologna segna un momento cruciale.

La sostituta procuratrice generale Silvia Marzocchi ha chiesto la conferma dell’ergastolo per i genitori, Nazia Shaheen e Shabbar Abbas, e l’estensione della stessa pena allo zio Danish Hasnain e ai cugini Nomanulhaq Nomanulhaq e Ikram Ijaz, con l’aggiunta di un anno di isolamento diurno per tutti.

Un delitto premeditato, orchestrato con “freddezza e insincerità” da un’intera famiglia, secondo l’accusa, che ha ricostruito gli ultimi giorni di vita di Saman come una “recita” crudele, culminata in un’azione definita “inumana”. Ecco cosa è emerso dalla requisitoria.

Un delitto premeditato: la tesi dell’accusa

La sostituta pg Silvia Marzocchi non ha lasciato spazio a dubbi: l’omicidio di Saman Abbas, avvenuto tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021, non è stato un gesto impulsivo, ma un piano studiato nei minimi dettagli. “Gli ultimi giorni di vita di Saman, dal 20 aprile 2021 in poi, furono vissuti all’interno di una recita, nell’inganno ordito alle sue spalle, in una finzione di serenità e affetto che nascondeva il programma di ucciderla,” ha dichiarato Marzocchi nella sua requisitoria. Tra gli elementi a sostegno della premeditazione, la pg ha citato “il famigerato scavo della buca” – una fossa preparata in anticipo nei campi di Novellara per occultare il corpo – e “la programmazione del viaggio in Pakistan” della famiglia, previsto subito dopo il delitto. Un messaggio vocale di una zia, intercettato dagli inquirenti, rafforzerebbe ulteriormente la tesi di un accordo collettivo per eliminare la giovane, rea di aver rifiutato un matrimonio combinato e di voler vivere secondo i propri desideri.

La famiglia al centro del delitto: tutti complici

Per la Procura generale, ogni membro della famiglia ha avuto un ruolo attivo. “Se tutti erano d’accordo per commettere il delitto, allora tutti hanno concorso anche nel reato di soppressione di cadavere,” ha sottolineato Marzocchi. I genitori, già condannati all’ergastolo in primo grado, sono stati descritti come “freddi e insinceri pianificatori dell’omicidio della figlia”.

Durante l’udienza, Shabbar Abbas ha scosso la testa e si è coperto il volto quando la pg ha dettagliato la sua partecipazione, un gesto che non ha scalfito la fermezza dell’accusa. La madre, Nazia Shaheen, è accusata di aver condiviso la stessa determinazione nel punire Saman per la sua ribellione. Lo zio Danish Hasnain, condannato a 14 anni in primo grado, è ora ritenuto altrettanto responsabile, con la richiesta di ergastolo basata sul suo ruolo di “esecutore materiale” secondo le indagini. I cugini, assolti in precedenza, tornano sotto accusa per “indizi gravi e concordanti”: l’uso di “due pale diverse” per scavare la fossa e la loro fuga dopo il fatto dimostrerebbero una “piena collaborazione e partecipazione al delitto”.

Gli ultimi giorni di Saman: una vita in trappola

Saman Abbas sognava una vita libera, ma si è ritrovata intrappolata in un contesto di oppressione. “Il fatto, notorio, che Saman non potesse andare a scuola e avere una vita sociale” è stato ricordato da Marzocchi come prova delle restrizioni imposte dalla famiglia. Dopo un primo tentativo fallito di emancipazione in Belgio, dove era tornata delusa chiedendo aiuto al padre, Saman si era affidata al fidanzato Saqib, che però non l’ha protetta adeguatamente. “La mandò a casa a recuperare i documenti, le disse che da casa sarebbe uscita solo con la sua volontà e non si preoccupò quando non ebbe notizie di lei,” ha spiegato la pg, sottolineando come anche Saqib abbia avuto un ruolo indiretto nel suo destino. Il 3 maggio 2021, Saman sarebbe dovuta entrare in una comunità protetta: “Se questo intervento fosse avvenuto pochissimi giorni prima, si sarebbe salvata,” ha aggiunto Marzocchi, evidenziando la tragica fatalità del tempismo.

Le prove materiali: la fossa e le pale

Le indagini condotte dai Carabinieri di Reggio Emilia hanno portato alla luce dettagli inquietanti. Il corpo di Saman è stato ritrovato il 19 novembre 2022, sepolto sotto un metro e mezzo di terra in una serra abbandonata vicino alla casa di famiglia a Novellara. La fossa, scavata con due pale diverse, è diventata un elemento centrale dell’accusa contro i cugini. “Nella loro abitazione sono state trovate due pale compatibili con quelle utilizzate per scavare la fossa in questione,” ha precisato Marzocchi, aggiungendo che la fuga immediata dei due dopo il delitto rafforza l’ipotesi di una complicità attiva. Il ritrovamento del corpo, dopo mesi di ricerche, ha confermato la brutalità dell’omicidio: Saman è stata strangolata, probabilmente dallo zio Danish, con il consenso dei genitori.

Un processo che divide: dal primo grado all’appello

Nel processo di primo grado, celebrato a Reggio Emilia, la Procura aveva chiesto l’ergastolo per i genitori e 30 anni per zio e cugini. La sentenza del dicembre 2023 aveva condannato Shabbar Abbas e Nazia Shaheen all’ergastolo, Danish Hasnain a 14 anni, mentre i cugini erano stati assolti per insufficienza di prove. Ora, in appello, l’accusa punta a una pena esemplare per tutti, con l’aggravante della premeditazione e dei “motivi abietti e futili”. La difesa dei genitori, rappresentata dall’avvocato Simone Servillo, ha annunciato che contesterà la ricostruzione, sostenendo che non ci siano prove dirette della loro partecipazione materiale. Intanto, la Corte d’Appello di Bologna si prepara a emettere una sentenza che potrebbe fare giurisprudenza.

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