Una punizione troppo severa può avere conseguenze tragiche. È quanto accaduto negli Stati Uniti a Jase Emily, studente 15enne arrestato con le manette a scuola per aver fumato una sigaretta elettronica alla marijuana. Il ragazzo si è tolto la vita solo tre giorni dopo.
L’episodio è avvenuto in un liceo dell’Indiana, dove Jase è stato ammanettato davanti ai compagni di classe. Secondo la madre, l’umiliazione di quella scena deve essere stata insopportabile per un adolescente descritto come sensibile e attivo nel sociale. Oltre all’arresto, il 15enne è stato espulso dalla squadra di calcio e dalla scuola stessa. La prospettiva di dover abbandonare la sua routine e i suoi punti di riferimento sembra essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. “Scoprire che non avrebbe potuto giocare l’anno successivo è stato un colpo per lui. Non immaginavamo quanto fosse ferito, lo abbiamo capito solo quando era troppo tardi” ha dichiarato la madre distrutta dal dolore.
La famiglia ha deciso di denunciare la scuola e l’ufficio dello sceriffo, ritenendo eccessiva la punizione per un reato minore come il possesso di marijuana. Secondo l’avvocato Gordon Ingle, non c’erano gli estremi per un arresto né per una perquisizione, dato che Jase era minorenne e andava tutelato. Inoltre, le manette e l’espulsione sono state viste come una reazione spropositata. L’obiettivo è dimostrare che siano stati violati i diritti costituzionali del 15enne, trattato da criminale per quello che resta un errore adolescenziale. La scuola dal canto suo fa sapere che il regolamento vieta severamente droghe e stupefacenti.
La madre di Jase confida che vincere la causa possa evitare altre situazioni simili, anche se niente restituirà il figlio scomparso troppo presto. È l’ennesima vicenda di bullismo istituzionale negli Stati Uniti, dove troppi adolescenti subiscono punizioni esemplari per poi ritrovarsi soli ad affrontare le conseguenze.