L’amore malato per il padre e a 15 anni uccide la madre nel sonno: condannato a 16 anni

di Gaetano Ferraro


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La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla difesa del 15enne condannato per l’omicidio della madre Valentina Giunta, rendendo definitiva la pena di 16 anni di reclusione inflitta in primo e secondo grado. Il provvedimento è stato notificato al legale del ragazzo, avvocato Francesco Giammona. Il giovane è attualmente detenuto per il delitto confessato e si trova in un istituto penitenziario minorile.

Il ragazzo uccise la madre nel sonno

I fatti risalgono al 25 luglio 2022 quando Valentina Giunta, 32enne residente nel quartiere catanese di San Cristoforo, venne assassinata nel sonno nella sua abitazione dal figlio 15enne. Il movente sarebbe da ricercare nel rapporto morboso che il ragazzo aveva con il padre, detenuto per furto d’auto e tentato omicidio, dal quale la donna si era recentemente separata.

Movente il rapporto morboso con il padre detenuto

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il giovane non sopportava che la madre volesse allontanarsi dall’ambiente malavitoso del padre e portarlo con sé lontano da quella realtà. Nutriva infatti una vera venerazione per il genitore, al punto da farsi tatuare un leone in suo onore, e temeva di perdere i rapporti con lui se avesse seguito la madre nel cambiamento di vita.

Dopo l’omicidio il tentativo di ripulire la scena del delitto

Dopo aver strangolato nel sonno la donna, il 15enne avrebbe poi ripulito l’appartamento con candeggina nel tentativo di cancellare le prove, per simulare una rapina finita male ad opera di ladri entrati in casa. La Squadra Mobile di Catania, che ha condotto le indagini coordinate dalla Procura per i Minorenni etnea, è però riuscita a raccogliere numerosi indizi che hanno portato in breve tempo alla confessione del ragazzo, durante l’interrogatorio di convalida del fermo.

Condanna a 16 anni confermata in tutti e tre i gradi di giudizio

Il processo celebrato col rito abbreviato si è concluso lo scorso gennaio con la condanna in primo grado a 16 anni, confermata in Appello e divenuta ora definitiva con la pronuncia della Suprema Corte. 

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