Insegnante antifascista italiana rinchiusa in un carcere ungherese: “perché il Governo Meloni tace”?

di Redazione


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Sono passati ormai 9 mesi da quando Ilaria Salis, 39enne insegnante elementare antifascista di Milano, è stata arrestata a Budapest durante una manifestazione contro l’estrema destra e rinchiusa in un carcere di massima sicurezza. Da allora le condizioni della sua detenzione sono state definite “disumane” dai familiari, che in tutto questo tempo hanno invano cercato aiuto dalle istituzioni italiane.

Insegnante antifascista italiana detenuta in condizioni disumane in Ungheria

Ilaria era a Budapest lo scorso 11 febbraio, come ogni anno, per partecipare alla contromanifestazione antifascista che si svolge in opposizione al raduno neonazista organizzato nella capitale ungherese per commemorare la battaglia di Budapest del 1945. Quel giorno ci furono scontri con alcuni manifestanti di estrema destra e Ilaria venne arrestata con l’accusa di aver aggredito due persone, che riportarono 5 e 8 giorni di prognosi. Da allora è detenuta in attesa di processo con l’accusa aggiuntiva di fare parte di un’associazione criminale antifascista tedesca, la Hammerbande. Accuse che, sommate, le potrebbero costare fino a 16 anni di carcere.

Accuse sproporzionate e nessun aiuto dalle istituzioni italiane

In cella Ilaria ha subito condizioni di detenzione che il padre Roberto definisce “disumane”: è stata spogliata, lasciata per giorni senza carta igienica, sapone e assorbenti, e ha dormito in letti infestati da cimici. Per sette mesi inoltre non ha potuto avere contatti con i genitori. La richiesta degli avvocati di scontare gli arresti domiciliari in Italia è stata negata, così come è stata negata la traduzione in italiano degli atti del processo nonostante le ripetute istanze della difesa.

Appelli della famiglia ignorati dal governo Meloni

Nonostante tutto ciò, le numerose lettere che il padre Roberto ha inviato negli ultimi mesi alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al ministro degli Esteri Antonio Tajani e al ministro della Giustizia Carlo Nordio sono rimaste senza risposta. Nessuna presa di posizione, nessuna richiesta di chiarimenti all’Ungheria sul trattamento riservato a Ilaria. Un silenzio assordante che lascia esterrefatta la famiglia Salis. “Sono deluso perché mi aspetto che lo Stato si occupi dei suoi cittadini”, dice amareggiato il signor Roberto. E invece nessuno finora ha sollevato la questione con le autorità ungheresi, né ha fatto pressioni per ottenere il trasferimento agli arresti domiciliari in Italia, come concesso invece ad un altro attivista antifascista italiano coinvolto nella stessa inchiesta.

Violato il principio di proporzionalità della pena?

L’atteggiamento pilatesco dell’Italia stride con la sproporzione evidente fra i fatti contestati a Ilaria – 8 giorni di prognosi per le presunte vittime – e le pesanti accuse che le vengono mosse, tali da farle rischiare fino a 16 anni di carcere. Un accanimento che viola palesemente il principio di proporzionalità della pena, e che è stato stigmatizzato dallo stesso sostituto procuratore generale di Milano rigettando la richiesta ungherese di estradizione per l’altro attivista. Eppure da Roma nessuna parola. “Io e mia moglie abbiamo difficoltà a dormire la notte, è qualcosa che non auguro a nessuno”, confida sconsolato il signor Salis. L’unica speranza è ora nell’udienza di gennaio, con la famiglia che confida in una svolta grazie al lavoro degli avvocati di Ilaria. Ma senza un intervento deciso dell’Italia, la sensazione è che l’incubo sia ancora lontano dalla fine.

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