In Afghanistan, un crescente numero di donne coraggiose sta utilizzando i social media per opporsi alle restrizioni imposte dal governo talebano, che ha recentemente promulgato una legge che vieta loro di far sentire la propria voce in pubblico. Questo movimento di protesta vede le donne filmarsi mentre cantano, mostrando solo una piccola parte del volto, sfidando apertamente la nuova normativa che mira a “promuovere la virtù e prevenire il vizio”.
La legge promulgata dal governo talebano contiene 35 articoli che impongono una serie di obblighi e divieti specificamente rivolti alle donne, tra cui il divieto di cantare o recitare poesie in pubblico. Queste misure restrittive sono state accolte con sdegno sia in Afghanistan che a livello internazionale, spingendo le donne a trovare nuovi modi per far sentire la loro voce, nonostante i rischi.
Le donne afghane, sia all’interno del Paese che nella diaspora, hanno reagito pubblicando video sui social media in cui cantano, accompagnati da messaggi potenti come “La mia voce non è proibita” e “No ai talebani”. Un video particolarmente significativo mostra una donna, completamente coperta da un velo nero, cantare in tono di sfida, dichiarando: “Mi hai messo a tacere per gli anni a venire. Mi hai imprigionato in casa mia per il solo crimine di essere donna”.
Non solo canti, ma anche gesti simbolici stanno caratterizzando questa protesta. In diversi video, gruppi di attivisti sono stati ripresi mentre alzavano i pugni in segno di resistenza o strappavano immagini del leader supremo dei talebani, l’emiro Hibatullah Akhundzada, che governa l’Afghanistan dalla sua roccaforte di Kandahar. Questi atti simbolici rappresentano un chiaro rifiuto dell’oppressione imposta dal regime talebano.
La nuova legge prevede che, quando una donna deve uscire di casa per necessità, è obbligata a coprire non solo il viso e il corpo, ma anche la voce, considerata parte di ciò che l’‘awra – termine islamico che designa le parti del corpo da nascondere – impone di celare. Questa visione estremamente restrittiva della presenza femminile nello spazio pubblico è al centro delle critiche mosse dalle attiviste, che considerano queste norme una violazione fondamentale dei diritti umani.