Chiara si è tolta la vita a 19 anni, bullizzata perché voleva cambiare sesso

di Romina Ferrante


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Ancora un caso di omofobia. Questa volta in Italia. Solo qualche giorno fa due giovani gay armeni si erano gettati da un ponte dopo avere postato su Instagram la foto di un loro bacio. Lunedì scorso, 10 ottobre, è toccato, invece, a Chiara, giovane ragazza napoletana transgender, che si è suicidata nella su abitazione, mentre la madre non era in casa.

Chiara aveva solo 19 anni. Probabilmente non ha retto ai continui soprusi dei suoi compagni di classe, al rifiuto della sua famiglia che non aveva accettato il coming out e alla gente che continuava ad additarla per strada.

Umiliata perché si sentiva donna

Bullizzata per la sua identità sessuale, Chiara due anni fa aveva contattato la “Gay Help Line” di Roma, il numero verde contro l’omotransfobia, che l’aveva aiutata a presentare una denuncia tramite l’Oscad (Osservatorio interforze del Ministero degli Interni contro gli atti discriminatori) e le aveva aperto le porte di una comunità lontana dal suo quartiere.

Tutto questo, però, non è servito a tirarla fuori dal suo dramma.

“Cosa c’è di male nel voler essere me stessa?” si chiedeva spesso Chiara. “Perché devo soffrire se voglio mettere un rossetto e truccarmi. A volte mi chiedo cosa ci sia di sbagliato in me. In fondo sono sempre un essere umano. Mi sento una donna, vorrei non avere paura. Ma sono in un labirinto senza uscita” – aveva scritto in una lettera.

La lentezza della sanità le è stata fatale

Era tornata a casa appena un anno fa, dopo che la famiglia aveva intrapreso un apposito percorso per accettare la scelta di Chiara. Era tornata a scuola ma era stata costretta ad abbandonarla per sfuggire alla violenza dei bulli. A settembre la giovane aveva chiesto aiuto all’ASL, chiedendo di parlare con uno psicologo, ma prima della fine dell’anno non c’era posto. Il primo appuntamento era stato fissato per il 21 dicembre.

Daniele Falanga, Presidente dell’Arcygay di Napoli ha così commentato la triste vicenda: “Ho conosciuto Chiara e addolora che non possa più essere ascoltata da chi poteva aiutarla ancora. L’abbiamo seguita e sostenuta. Il consultorio aveva chiesto per lei uno psicologo di base. Ma non tutto funziona come dovrebbe. La legge 35 del 2020 è attuata con lentezza dal sistema sanitario. I tempi dell’Asl sono purtroppo ancora lunghi. Un’attesa insostenibile, la figura dello psicologo in casi di estrema fragilità è fondamentale”.

Quanti giovani dovranno morire ancora?

“La strada per chi denuncia è in salita, in particolare per i minorenni: l’assenza di protocolli di protezione e allontanamento immediato dagli autori delle violenze, il lungo ed estenuante percorso della giustizia, la mancanza di comunità per minori che accolgono ragazze e ragazzi trans sulla base della loro identità di genere e non del sesso. Tutto questo Chiara aveva dovuto e saputo affrontarlo. Ma non ce l’ha fatta” – ha affermato il Gay center.

Il gesto disperato di Chiara accende ancora una volta i riflettori su una questione tutt’altro che risolta. “Constatare che ancora oggi una giovane possa suicidarsi per questioni legate all’identità di genere ci dimostra che c’è ancora tanta strada da fare” – ha commentato l’assessore alle Pari opportunità del Comune di Napoli, Emanuela Ferrante.

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