In Afghanistan, sotto il rigido controllo talebano, donne come Fatima e Wahida sfidano il divieto di vendere capelli umani, raccolti da docce e saloni clandestini, per sopravvivere. Un commercio rischioso che racconta una lotta silenziosa per la dignità e il sostentamento.
Si è tolta la vita Alexandra Garufi, tiktoker non binaria: aveva raccontato la transizione sui social
Stampa articoloAlexandra Garufi aveva solo 21 anni. Viveva a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, dove lavorava come commessa in un negozio di scarpe.
Nella notte tra mercoledì 20 e giovedì 21 marzo la giovane tiktoker milanese si è tolta la vita con un colpo di pistola alla tempia, usando l’arma del padre, guardia giurata.
A stroncare la sua giovane vita, con ogni probabilità, è stato il peso dell’odio ricevuto sui social. Sui suoi profili, in particolare su TikTok, dove era conosciuta con l’account @davidegarufiii, Alexandra aveva raccontato la propria esperienza di transizione, parlando del proprio percorso con coraggio e vulnerabilità e svelando anche momenti delicati, come l’avvio della terapia ormonale e il bisogno di essere riconosciuta nella sua identità non binaria.
Il suo coming out, avvenuto a 19 anni, aveva dato inizio a una lunga serie di attacchi online. Insulti, commenti denigratori e scherni si erano intensificati con la crescita dei follower e l’aumento della visibilità dei suoi contenuti.
A farne le spese è stata una ragazza che cercava ascolto e autenticità, ma che si è trovata a dover fronteggiare il disprezzo gratuito di chi non conosce empatia.
Oggi quei contenuti sono al vaglio degli inquirenti. La Procura di Monza ha aperto un’indagine per istigazione al suicidio. I carabinieri hanno sequestrato il telefono con cui Alexandra realizzava i suoi video.
Un grido che non può restare inascoltato
A rendere ancora più pesante la situazione era stato anche il contesto familiare. Secondo alcune testimonianze raccolte nel quartiere, Alexandra era profondamente segnata dalla recente morte della sorella e da dinamiche familiari non semplici.
La tristezza era diventata sempre più evidente, ma nessuno poteva immaginare un epilogo così drammatico. Daniele Durante, responsabile Diritti per Sinistra Italiana a Milano, che la seguiva da due anni, ha confermato che la pressione psicologica legata agli attacchi social era diventata insostenibile.
Anche Luca Paladini, fondatore del movimento “I Sentinelli”, ha denunciato il clima d’odio che circonda le persone transgender. Ha parlato di una deriva politica e culturale, che disumanizza e cancella le identità non conformi, e che può portare a tragedie come quella di Alexandra.
Il dolore per la sua morte è oggi condiviso da chi l’amava e da chi crede che raccontarsi non debba mai significare esporsi alla violenza. La sua voce, spezzata troppo presto, lascia un vuoto e un interrogativo aperto sulla responsabilità collettiva. L’odio social non è virtuale: ferisce, distrugge, uccide.