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Addio a Michela Murgia, narratrice di una splendida utopia
Si spengono i riflettori sulla vita di Michela Murgia, narratrice, femminista, politica che ha scelto di parlare della morte nei libri, nei post e nelle feste “con leggerezza che non è superficialità ma la capacità di planare sopra le cose” come ci ha insegnato Italo Calvino.
Michela Murgia e la sua splendida utopia
Michela Murgia ci ha lasciati nella notte di San Lorenzo. Nel cielo da ieri splenderà una stella in più. In molti diranno che abbia perso la propria battaglia mentre in realtà, non perde chi muore (prima o poi capita a tutti di morire) ma vince chi vive con forza e dignità la propria esistenza magnificandone ogni giorno.
In questi mesi di lotta alla sua malattia Michela Murgia ha fatto sì che nessuna parola altrui sopravanzasse le sue: prima che la scorsa notte di San Lorenzo la portasse via, ha scelto come raccontare la sua morte, nei libri, nelle storie Instagram, nelle feste di addio nel suo bellissimo giardino incantato conquistato con la forza e la testardaggine che erano parte integrante di lei, lo sono sempre stati. Lei si è raccontata da sola.
Michela Murgia: “Se non si sogna, si vive nel sogno altrui”
Da vincitrice del Campiello protestò mostrando subito la sua tempra. Quando pubblicò Accabadora, successo enorme, pluripremiato, insignito dell’ambìto premio, mostrò di essere la donna fortissima, coraggiosa, in grado di dire quel che gli altri balbettavano o non dicevano affatto. Protestò, da vincitrice, per le parole scorrette di Bruno Vespa, presentatore del premio nella serata televisiva, nei confronti di un’altra giovane scrittrice e della sua scollatura. Certi giornali non hanno perso occasione fino alla fine di considerarla un bersaglio, provarono a demolirla. Impossibile. Qualsiasi bassezza, qualsiasi insulto, di quelli che non sono mai cessati in rete fino alla fine.
Scrittrice, saggista, femminista, politica
Per Michela la scrittura era politica, non solo nei libri che ha scritto, tanti e importanti: da Ave Mary a Istruzioni per diventare fascisti, da Stai Zitta a God save the queer, e ancora il podcast Morgana con Chiara Tagliaferri, dove ha raccontato le donne di ogni tempo, fino a Tre ciotole, dove ha osato l’inosabile, raccontare la propria morte, con il coraggio e la gioia che solo una donna straordinaria poteva possedere.
MIchela Murgia paladina dei diritti
Non c’è stato giorno in cui Michela non abbia preso posizione, con un coraggio impressionante, sui fatti su cui gli altri e le altre, nella maggior parte dei casi, tacevano per pura convenienza, per non inimicarsi qualcuno, per non incrinare le possibilità di un avanzamento. Lei ha sempre osato.
La lunga malattia
Michela Murgia è morta a Roma a 51 anni: era malata da tempo e aveva rivelato nei mesi scorsi di essere affetta da un carcinoma renale al quarto stadio. Aveva scelto di vivere pubblicamente il periodo della sua malattia, continuando a raccontarsi attraverso i suoi canali social ma anche facendo della “sopravvivenza emotiva” il tema dell’ultimo libro, Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, uscito per Mondadori in primavera, presentato dall’autrice in maggio al Salone del libro di Torino e ancora nei primi posti delle classifiche di vendita.
Chi era Michela Murgia
Nata a Cabras, in Sardegna, nel 1972, Michela Murgia prima di dedicarsi alla scrittura ha svolto molti mestieri, tra cui l’insegnante di religione nelle scuole e la dirigente di una centrale termoelettrica. Militante di Azione Cattolica, ideò uno spettacolo teatrale rappresentato a Loreto a conclusione del pellegrinaggio dell’Azione Cattolica nel 2004, al quale assistette papa Giovanni Paolo II. In quegli anni raccontava in un blog, Il Mio Sinis, la sua Sardegna e nel 2007 fu inserita tra gli scrittori riuniti nell’antologia Cartas de logu: scrittori sardi allo specchio.
Anche Il mondo deve sapere (prima edizione 2006) nacque come un blog, dove l’autrice raccontava una delle sue esperienze lavorative giovanili, come operatrice in un call center. Il libro ha ispirato l’opera teatrale omonima Il mondo deve sapere (di David Emmer, con Teresa Saponangelo) e la sceneggiatura del film Tutta la vita davanti di Paolo Virzì. Per Einaudi ha poi pubblicato Viaggio in Sardegna. Undici percorsi nell’isola che non si vede (2008).
Il successo letterario arriva l’anno successivo, nel 2009. Il romanzo Accabadora vince il premio Dessì, il Super Mondello e il premio Campiello. Ambientato nella Sardegna rurale degli anni Cinquanta, è incentrato sulla figura, storicamente non comprovata, della femina accabadora, una donna che, con una sorta di eutanasia rituale, veniva chiamata dalle famiglie a dare la morte a chi era in fase terminale.
Protagoniste della storia, la piccola Maria e la sarta di cui è filla de anima, ossia adottiva: è quest’ultima, scoprirà Maria, a ricoprire il misterioso ruolo di accabadora nel piccolo paese in cui vivono. Nella vicenda narrata c’è un’eco della storia dell’infanzia di Michela Murgia, che dedica infatti il romanzo alle sue due madri, quella biologica e quella affidataria.
La produzione letteraria
Negli anni successivi, mentre alterna saggi come Ave Mary (2019) romanzi come Chirù (2015) e pamphlet come Istruzioni per diventare fascisti e Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, la voce di Murgia viene amplificata da una crescente popolarità sui social network, dalla sua attività teatrale e via podcast (il progetto Morgana, diventato anche un libro, realizzato con Chiara Tagliaferri).
Si intitola infatti God Save the Queer il saggio del 2022 che porta come sottotitolo “Catechismo femminista”. E il tema del queer, come visione alternativa al patriarcato è diventato centrale nell’ultima fase della vita della scrittrice, che ha deciso, una volta scoperta la gravità delle sue condizioni di salute, di far conoscere la sua “famiglia queer”, ossia il gruppo di persone, amici e “figli d’anima”, che rappresenta il circolo dei suoi affetti più cari e con cui ha scelto di condividere la vita nella nuova casa alle porte di Roma.
L’eredità di Michela Murgia
Di Michela Murgia restano i libri, ma non solo. Pochi, come lei, hanno saputo creare una comunità viva e palpitante, grazie alle sue parole accorate sulle donne, sul fascismo di ritorno, sulla politica, sui diritti, sulla speranza che ci manca e che pure lei aveva e conservava. Più che i libri a vincere la morte saranno l’amore, il coraggio e l’ utopia di cui era portatrice.